
21 marzo, Giornata Internazionale delle Foreste.
In principio era la roccia.
Dura e spoglia roccia in una landa desolata, spazzata da venti e percossa da piogge battenti, incisa dalla morsa dei ghiacci.
All’interno di questo incipit degno dello scenario di un’opera potente e terrificante, si insediarono le prime, piccole comunità viventi. Colonie batteriche, funghi e licheni proliferarono e attaccarono la roccia con i loro acidi, mentre trattenevano sulla superficie polvere e particelle minerali e infine – in quella morte che fa di tutti i viventi un dono ultimo per i posteri - arricchirono l’ambente di sostanze organiche.
Lentamente, ma inesorabilmente, un sottile strato di terreno ricoprì le crode, permettendo a pianticelle più grandi e complesse di attecchire. Lentamente, lo ripeto, perché un suolo adatto alla crescita della vegetazione si forma in centinaia o anche migliaia di anni.
Un albero può vivere centinaia di anni. Alcuni anche migliaia.
La perdita di suolo e la deforestazione rappresentano due emergenze che purtroppo vanno di pari passo: la copertura arborea, che ha bisogno di centinaia d’anni per svilupparsi, protegge un suolo che impiega centinaia se non migliaia d’anni a formarsi.
Quanto tempo serve a noi uomini per distruggere quello che le forze della natura hanno costruito sin da epoche immemori?
Il tempo di accendere un fiammifero, oppure l’innesco di una motosega.
Per quante altre cose dobbiamo ringraziare gli ecosistemi forestali?
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